E’ importante specificare che con il termine “remissivo” non si può e non si deve far riferimento ad alcuna diagnosi o profilo psicologico dell’individuo, ma ad una situazione emotiva-comportamentale caratteristica del bambino/a.
Matteo Santarelli
Docente
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Cosa vuol dire essere remissivo?
Un bambino/a remissivo/a è un bambino/a che tende ad essere docile e arrendevole nei confronti degli altri, mostrandosi fragile. Evita in tutti i modi situazioni conflittuali mettendo in atto comportamenti volti a risolversi in maniera pacifica, spesso subendone le conseguenze, con lo scopo di ridurre la propria e l’altrui tensione.
Perché è importante intrecciare gli elementi del bambino con le sue caratteristiche specifiche e lo stile genitoriale?
Spesso ci si domanda se nostro figlio/a, il nostro alunno/a o e, più in generale, il nostro bambino/a sarà in grado di affrontare la vita adulta responsabilmente, consapevolmente e tenacemente in autonomia; ci si domanda se la nostra educazione stia portando ad una crescita significativa, ad un’autonomia salda e indispensabile per la vita futura. Queste domande sono insite in genitori, educatori, maestri, docenti che raccolgono la sfida dell’educazione, che abbiano ben chiara la loro responsabilità e che siano consapevoli di avere scelto di Educare e prendersi Cura di un individuo.
Educare e Cura sono due parole indispensabili per l’argomento che andremo a trattare: Maria Montessori, parlando dell’atto educativo, diceva che: “L’educazione è tale quando si configura come aiuto alla vita che si svolge, non imposizione dall’esterno, ma faro che illumina il cammino”; è importante pensare di essere una luce per l’individuo, affiancandolo e aiutandolo in maniera discreta senza oppressioni. Si parla di oppressioni perché, molto spesso, capita a noi adulti di pensare di sapere cosa sia giusto per il nostro bambino/a e quando sia giusto, questo perché si cerca inevitabilmente di educare un figlio/a in base a quella che è stata la nostra vita e la nostra educazione incastonando dentro di essa il nostro passato, le nostre conquiste, i nostri traumi e le nostre delusioni. Spesso proprio quest’ultimi sono il motivo per il quale parliamo al piccolo/ a in maniera poco chiara e incoerente: si tende a volere un bambino/a remissivo nei nostri confronti (genitori, insegnanti o adulti in generale) ma allo stesso tempo si cerca di instaurare in lui/lei una forte componente emotiva tale da prepararlo/a a quello che c’è “lì fuori”. Vorremo che fosse in grado di “farsi valere” nel mondo evitando a qualsiasi costo la sottomissione e la remissione nei confronti dell’altro.
I genitori guidano i loro figli/e piccoli/e dalla completa dipendenza infantile alle fasi iniziali dell’autonomia, ed il loro stile genitoriale decide i modelli di funzionamento cognitivo, comportamentale ed emotivo del bambino/a. Gli atteggiamenti ed il conseguente clima emotivo instaurato dai genitori, prende il nome di “stile genitoriale”1, ed i principali sono: “dominant parenting” (genitorialità dominante: mirare a troppa perfezione, rifiuto di ascolto ed educazione basata sul gioco di potere) e “submissive parenting” (genitorialità remissiva: scarso coinvolgimento ed educazione basata sul “piacere” dei loro figli).
Uno studio svolto da Dr. Nutan Bala, medico di medicina generale, dal titolo: “Dominant & Submissive Parenting. Its Effect on a Child’s Behaviour”2 (“Genitorialità dominante e remissiva. Il suo effetto sul comportamento di un bambino”) ha definito come entrambi questi stili genitoriali possano portare spesso a scarsi risultati comportamentali nei bambini/e, perché può incoraggiarli ad essere troppo dipendenti dalla cultura dei pari e quindi ad un aspetto caratteriale prettamente remissivo.
In questo caso entra in gioco il concetto di Cura; secondo Umberto Galimberti, filosofo, saggista e psicoanalista italiano, il prendersi Cura prevede un comportamento in cui l’uomo “offre agli altri la possibilità di trovare sé stessi e di realizzare il proprio essere”3; questo implica il mettersi in discussione, pensare che non sempre ciò che pensiamo/diciamo sia giusto per i più piccoli.
Il concetto di Cura è strettamente collegato al concetto di Ascolto: ascoltare prendendo in considerazione le ragioni dei nostri figli può aiutare a sviluppare un’autonomia ed una considerazione di sé tale da rafforzare la credenza dei più piccoli all’affermazione, al portare avanti un’idea, e consolidarla anche nei confronti dei suoi pari.
Quando è importante donare uno sguardo più attento al bambino/a?
Quando la lampadina di noi adulti si accende percependo qualcosa di disfunzionale, ed è ben chiaro che tutte le condizioni sopra elencate sono escluse, bisogna far attenzione ai comportamenti messi in atto come risposta dai nostri bambini/e: se i più piccoli tendono ad evitare in modo netto e continuo determinate e specifiche situazioni sociali, tendono ad avere periodi di eccessiva tristezza o agitazione, e se faticano a dormire o a svolgere il normale andamento della loro giornata, bisogna intervenire.
Cosa fare?
Cose utili in queste situazioni sono:
- Cercare strategie con capacità di risposta più efficaci insieme al bambino/a;
- Attività che aumentino la fiducia in sé stesso e la sua auto-efficacia;
- Vivere esperienze sociali che lo valorizzino.
La cosa più importante, è che alla base di tutto questo ci sia un dialogo tra adulto e bambino/a, soprattutto su tematiche quali la paura del conflitto e la continua e non richiesta mediazione dell’adulto.
Per ultimo, ma non per importanza, si consiglia sempre di far riferimento ad un professionista come uno psicologo/a che può aiutare l’adulto a rendere efficaci queste strategie.
Bibliografia:
1 N. Darling, L. Steinberg “Parenting Style as Context: An Integrative Model” Psychological Bulletin, vol 113, 1993, 487-496.
2 Dr. Nutan Bala “Dominant & Submissive Parenting. Its Effect on a Child’s Behaviour” International Journal of Humanities and Social Science Invention (IJHSSI), vol. 09(3), 2020, pp 25-29.
3 U.Galimberti, Psichiatria e fenomenologia, Feltrinelli, Milano 2006, p. 216.