Perché è importante insegnare la musica ai bambini?

Perché è importante insegnare la musica ai bambini?

Tempo di lettura: 4 minuti

“Perché è importante insegnare la musica ai bambini?” è una domanda che contiene una affermazione da dimostrare: che insegnare la musica ai bambini sia, effettivamente, importante.

Francesco Sbraccia

Francesco Sbraccia

Maestro & Musicista
Contenuto selezionato da Pediatotem

La banalizzazione del rapporto musica – bambini

È facile cadere nelle trappole della banalità rispondendo un entusiastico “sì”, e poiché il web è pieno di risposte motivazionali, non è neanche utile che io mi limiti ad elencare i benefici della musica su un essere umano – che pure esistono, sono oggetto di studi scientifici e possono risultare meravigliosi nel vissuto di una persona. Ho pensato, così, di raccontare la mia esperienza personale, che include fasi costruttive, ma anche momenti di sconforto.
La naturalezza di un/a bambino/a in estasi davanti alla musica e al suo studio, è già la conferma di una scelta ottimale. In questo caso, ciò che si ottiene attraverso la musica e il suo approfondimento ha sfumature per lo più positive, essendo l’inclinazione personale perfettamente compatibile con l’attività svolta.
Ma potrebbe non essere così. Ad esempio, io ho iniziato studiando il pianoforte da piccolo, e non è stato sempre bello. Complice un insegnante poco gratificante, c’è stata una fase iniziale in cui andare a lezione era un grosso peso emotivo, e studiare non era un’attività piacevole.

Il percorso musicale tra ostacoli e benefici

Quando si inizia a studiare un brano musicale si ha davanti un percorso a ostacoli, pieno di insidie. Potrebbe essere utile, in questo contesto, paragonarlo ad un livello di Super Mario Bros: prima di capire che se Mario cade nei buchi del terreno si perde una vita, bisogna caderci. Per evitare di caderci di nuovo, bisogna sviluppare una strategia e poi provare a realizzarla coordinando il corpo per usare la giusta combinazione di tasti sul joypad: quando ce la fai, vieni ripagato con la soddisfazione. Le difficoltà di un brano da eseguire su uno strumento sono analoghe, e i metodi risolutivi pure. Nel caso della musica, viene prodotto un risultato sonoro che, nel mio caso e in questa fase, non era ancora importante, ma serviva come verifica dell’aver trovato una soluzione: se ascolto una melodia, ho risolto il problema. 

Ma se il godimento fosse sperimentato di rado, la mia esperienza suggerirebbe l’eventualità che studiare musica possa essere un’attività dalle connotazioni negative: perché dovrebbe valerne la pena, per un/a bambino/a?
La risposta facile è che ci sono motivazioni ragionevoli. Esse riguardano i benefici seguenti, facilmente rintracciabili in rete o consultabili in un libro di pedagogia e psicologia dello sviluppo:

  • Sviluppo cognitivo: studiare la musica può aiutare a sviluppare le capacità cognitive dei bambini come la memoria, la concentrazione e l’attenzione.
  • Creatività: la musica può essere un modo per esprimere la creatività e incoraggiare la sperimentazione.
  • Emozioni: la musica può aiutare i bambini a esplorare le emozioni e a sviluppare la capacità di comunicare i propri sentimenti.
  • Coordinazione: la musica può anche aiutare a sviluppare la coordinazione fisica e la percezione del ritmo.
  • Socializzazione: la musica può essere un’attività sociale che incoraggia la collaborazione e l’interazione con gli altri.
  • Apprezzamento: studiare la musica può aiutare i bambini ad apprezzare diversi generi musicali e sviluppare un senso di gusto personale.

Ognuna di queste motivazioni è profonda e quasi condivisibile a priori, ma sento puzza di retorica: la parte difficile è vivere lo studio della musica in maniera tale da far emergere le caratteristiche che abbiamo elencato. Perché se un adulto (un genitore) potrebbe anche accontentarsi di sapere che è importante studiare la musica per la possibilità di avere in cambio queste caratteristiche di taoistico equilibrio fisico-mentale, il giovane studente deve viverle prima di analizzarle e poterle apprezzare. È poiché lo studio si realizza in un rapporto tra allievo e maestro oltre che in quello tra l’allievo e la materia che si apprende, sintetizzerei la prima morale di questo scritto: un insegnante dotato di sensibilità ed empatia è un ottimo inizio. La passione per la specifica materia, se non è innata, potrebbe poi essere dietro l’angolo.

L’apprendimento ed una nuova consapevolezza di sé

Torniamo al me bambino; la pazienza dei miei genitori, la scoperta del rock e l’incontro con un maestro fantastico che ha avuto la pazienza di consolidare i fondamentali dello studio musicale e aprire le porte a un nuovo modo di intendere la musica, sono stati un’epifania!
La musica era diventata una cosa di cui non potevo più fare a meno: imparavo canzoni e dischi (sviluppo cognitivo), cercavo un mio stile chitarristico (creatività), volevo scrivere canzoni (creatività, emozioni), avevo trovato un metodo personale per suonare la chitarra (coordinazione) e nel giro di poco tempo suonavo con altre persone (socializzazione), che sarebbero diventate importanti amicizie.
Il risultato è stato il realizzare quanto lo studio della musica sia una delle attività più gratificanti e arricchenti che un individuo possa intraprendere. Un percorso che richiede grande sforzo e comprende comunque momenti di sconforto, come tutti i tipi di dedizione profonda ad una disciplina. E tuttavia riesce a sbloccare parti di sé difficilmente individuabili in altro modo: lo studio metodico di un repertorio strumentale (e teniamo in considerazione che esiste anche lo studio della composizione, oltre che di uno specifico strumento!) diventa una forma di meditazione in cui migliorare le proprie abilità fisiche coincide con il gusto estetico di una composizione musicale e la soddisfazione del superamento di un ostacolo tecnico. Richiede concentrazione, coordinazione mano-occhio, memoria, attenzione ai dettagli, comprensione del linguaggio musicale e pazienza. E tutto ciò si sintetizza nell’interpretazione di un repertorio che, pur non essendo stato scritto da chi lo interpreta, diventa estremamente personale.
Adesso arriviamo alla seconda morale: i bambini potrebbero non avere una comprensione completa del loro potenziale “creativo” fin da subito; l’apprendimento della musica è un processo graduale, che richiede tempo e impegno, ma può portare a una maggiore consapevolezza di sé e alla scoperta di nuove forme di espressione.

Capire la personalità del bambino può aiutarci nella scelta dell’attività migliore

Ma quindi, insegnare la musica ai bambini è importante? Penso di poter rispondere che potrebbe esserlo, a seconda dell’indole personale e del percorso che il/la bambino/a seguirà. Nel mio caso è stato importante, ma altri potrebbero rispondere diversamente. Penso sia opportuno che i bambini abbiano la possibilità di scegliere l’attività che preferiscono e che si adatta meglio alle loro esigenze e ai loro interessi, in modo che possano sviluppare al meglio il loro potenziale. Se si coglie nel/nella bambino/a una particolare propensione, potrebbe valere la pena di assecondarla. Se ciò non succede, si può tentare di presentargli/le un ventaglio di varie opzioni per capire la sua personalità, magari iniziando da quella il cui ambiente circostante sembra essere il più favorevole: si conosce un insegnante, si ha una struttura vicino casa, e così via. Ciò che importante è che il processo di apprendimento sia gestito in modo adeguato, diventando qualcosa che contribuisce al benessere psicologico e alla crescita personale, al di là del fatto che la specifica attività oggetto dell’insegnamento rimanga o meno una parte importante di tutta la vita del/della bambino/a.