La parola egocentrismo in età adulta è legata, con un’accezione prettamente negativa, ad un atteggiamento di qualcuno che riconduce tutto al proprio Io, senza considerare altri punti di vista o di riferimento, rendendo difficile la comunicazione sociale.
Nei bambini l’egocentrismo infantile rappresenta invece un’importante fase dello sviluppo, descritto, nei suoi studi, da Jean Piaget, psicologo e fondatore dell’epistemologia genetica.
Serena Di Natale
Psicologa
Contenuto selezionato da Pediatotem
L’Egocentrismo infantile aiuta a crescere
Sin dai 18 mesi di età, i bambini cominciano ad esprimersi con linguaggio e atteggiamenti di tipo egocentrico, in cui tutto “è mio!”. Si tratta di una fase dello sviluppo che va, principalmente, dai 2 ai 6 anni di età, in cui il bambino è fortemente possessivo con le proprie cose, rifiutando di condividere e di accettare che qualcuno tocchi un loro giocattolo.
Questo perché il bambino, nelle prime fasi dello sviluppo, ha una visione unilaterale della realtà che personalmente sperimenta, non considerando altre prospettive oltre la sua, e che lo porta a credere che tutto ruoti attorno a lui, che tutti abbiano i suoi stessi pensieri e capiscano i suoi bisogni e desideri.
“E’ mio” permette al piccolo di riconoscere il proprio Io definendo un confine tra sé e l’altra persona; in questo caso, i giochi sono un ottimo strumento per affermarsi come persona singola. Crescendo incontrerà ovviamente dei limiti che lo aiuteranno a capire che esiste anche l’altro con i suoi desideri ed esigenze.
Si tratta di un vero e proprio atto di maturazione cognitiva e di costruzione della personalità ed è fondamentale per comprendere i meccanismi della comunicazione sociale.
Sarà infatti l’ambiente in cui vive e in cui viene stimolato che favoriranno nel bambino questa comprensione.
Cosa possiamo fare noi adulti nella fase del “è mio!”?
Possiamo accompagnare i nostri bimbi in questa fase evolutiva così importante, dare loro l’esempio con atteggiamenti che favoriscano la condivisione aiutandoli a comprendere che non è tutto loro. Vediamo alcuni esempi.
- Concediamo tempo e fiducia ai nostri bambini, senza intervenire dando e riprendendo i giochi all’altro, lasciando che “sperimentino” con i propri tempi; la condivisione non andrebbe mai forzata ma incoraggiata fornendo al bambino un esempio con il nostro comportamento.
- Non svalutiamo le emozioni che stanno vivendo in quel momento “lo so che vorresti tutti i giochi per te ma perché non proviamo a prestare questa macchinina al bimbo e giochiamo insieme?”
- Se la situazione è particolarmente tesa, e i bambini si stanno contendendo un gioco, possiamo portare l’attenzione di uno di loro su come possa sentirsi l’altro “hai visto com’è triste che non lo fai giocare con la tua palla?” o “hai visto come si è arrabbiato quando gli hai preso la sua palla?”, facendo percepire l’emozione che l’altro può provare in quella situazione, stimolando l’empatia.
Per l’adulto conoscere cosa rappresenti questa fase per lo sviluppo del bambino, è importante affinché questo riesca a superarla nel migliore dei modi sentendosi accolto e compreso.